di Adriana Cavarero
Recensione di Pianciola, C., L’Indice 1998, n. 1
“Il libro esplora il significato della narrazione biografica nella costituzione dell’identità personale, attraverso un percorso che mette in scena eroi greci (Edipo e Ulisse), donne straordinarie e comuni (alla periferia di Milano, Emilia si fa raccontare e scrivere dall’amica Amalia la sua storia, conservando gelosamente pagine che non si stanca di rileggere, mentre in una libreria di New York un’altra donna è attratta dall’unicità della forma del corpo e del volto nelle fotografie), amanti che si vogliono reciprocamente unici (con un’analisi delle diverse modulazioni, antiche e moderne, del mito di Orfeo), narratrici (da Sheherazade alle storie di Karen Blixen e alle riflessioni della Arendt sulla scrittrice danese).
Appoggiandosi al pensiero arendtiano Cavarero polemizza contro lo statuto astratto (in realtà maschilista) dell’Uomo della tradizione filosofica, sedotta dal miraggio della definizione universale, mentre l’esistente è “un “chi”, sempre relazionale e contestuale”. Il “chi” è un'”identità personale unica e irripetibile”, irriducibile al “che cosa” delle definizioni filosofiche e delle determinazioni sociologiche. Non è però un’interiorità ineffabile; al contrario ha una realtà tutta esterna, esposta, affidata allo sguardo e al racconto dell’altro per il quale ognuno di noi è “un sé narrabile”. Hamah Arendt vede però la narrazione come racconto retrospettivo di azioni memorabili e trascura l’esperienza del “desiderio” che, attraverso la narrazione e il riconoscimento qui e ora da parte dell’altro, “il finito nella sua fragile unicità”, riveli l’unità di un significato e di un disegno.
Cavarero respinge vivacemente l’attacco postmoderno all’unicità e all’unità del sé, scambiate erroneamente con la permanenza di un soggetto sostanziale: equivoco che spinge una parte di studiose “ad accogliere una narrazione frammentaria e multipla del sé come pratica squisitamente femminile”. Soprattutto delinea tematiche ricostruttive: se il sé è positivamente e costitutivamente relazionale, è possibile un’etica che faccia riferimento a un'”ontologia “altruistica” dell’esistente”.Inoltre, nella pratica femminista c’è un’esperienza che può definirsi politica in senso arendtiano, come costruzione discorsiva di “uno spazio condiviso, contestuale e relazionale”, purché l’unicità del “chi” sessuato non sia sacrificata “nel paradigma sovrapersonale della Donna”.
Già altri autori, tra cuiRicoeur, hanno sottolineato il rapporto tra identità e narrazione. Ma Cavarero sviluppa il suo discorso su tonalità diverse, e non solo per la sua collocazione all’interno dei percorsi teorici del femminismo. “Nonostante tutto l’esistente esiste e resiste”. Resiste anche una certa ispirazione esistenzialistica, col suo singolo minacciato dalle astrazioni universali e dall’impersonalità dei ruoli sociali, e confermato nella sua concreta identità dal rapporto con il tu. Cavarero scava in questa parte del lascito arendtiano, con risultati spesso acuti, ma talvolta privilegiando i soli aspetti positivi e riusciti delle relazioni narrative.”