http://www.festivalfilosofia.it/2018/index.php?mod=c_video&id=296

Conferenza nell’ambito del ciclo “Classici della filosofia tedesca”
Benjamin propone una ricognizione del Moderno, esplorando soprattutto il ruolo dei mass media e la metropoli del XX secolo. Relatore Gianluca Cozzo, Università di Torino. Incontro di carattere divulgativo, nell’anno in cui Torino incontra Berlino, a cura di Pier Paolo Portinaro, in collaborazione con Fondazione per la Cultura Torino.
Biblioteca civica Italo Calvino, mercoledì 23 settembre 2015

 

Sergio Ariotti – Walter Benjamin e l’Angelus Novus

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradio, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
W. Benjamin

 

Coll IMJ, photo (c) IMJ


Walter Benjamin. Il figlio della felicità” di Giulio Schiavoni

Booktrailer di Francesca Grignani, Daniela Incarbone, Denise Orifici e Giada Rivella.



L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica
Walter Benjamin
Piccola Biblioteca Einaudi
1936

Cosa rende un’opera d’arte tale? Aura. Quella caratteristica di unicità propria dell’oggetto che lo rende unico e irripetibile. L’arte ha fin dall’antichità avuto un valore cultuale, ossia strettamente legato alla devozione e al culto: basti pensare all’uomo preistorico e alle pitture rupestri che avevano significato auspicatorio; oppure alle pale d’altare degli artisti rinascimentali che volevano esaltare la magnificenza della Chiesa, e ancora alle migliaia di fedeli che si riuniscono sotto ad esse per la preghiera. L’uomo ha da sempre avuto la necessità di potersi riferire ad un’iconografia per poter dare un’immagine agli elementi astratti che lo circondavano ed è a quel punto che si è rivolto all’arte, a partire da millenni prima di Cristo, passando per il periodo in cui Benjamin scrive, per giungere al giorno d’oggi. Negli anni Trenta l’arte entra letteralmente in crisi, poiché lo scontro di inizio Novecento con la fotografia è inevitabile. Il valore di esponibilità nella fotografia sostituisce il valore culturale che corrisponde inevitabilmente con la perdita di aura. Per esempio, un albero riprodotto in fotografia è fedele alla realtà: ciò che osserviamo nella pellicola è identico nella forma a quello che vedremmo se ci trovassimo di fronte ad esso; ma un albero sulla tela passa attraverso gli occhi e l’anima dell’artista che ne regala una propria interpretazione. E così gli uomini iniziano a chiedersi se la fotografia possa considerarsi un’arte, ma la domanda fondamentale è se la scoperta della fotografia non abbia modificato il carattere complessivo dell’arte. Lo stesso problema si pone di fronte alla pellicola cinematografica: lo scorrere veloce di immagini sullo schermo è un vero e proprio affronto all’arte teatrale che si basa sul principio dell’hic et nunc, qui ed ora. La sostanziale differenza tra cinema e teatro è costituita dalla presenza di un pubblico che, nel secondo caso, vede un vero e proprio collegamento tra attori e spettatori: l’interpretazione può essere adattata alle reazioni di chi osserva, poichè il contatto è presente per tutta la durata dello spettacolo. Per quanto riguarda il cinema, l’attore si ritrova a dover rendere conto alla cinepresa mossa da un tecnico che, attraverso il montaggio, sceglie cosa e come riflettere sullo schermo la recitazione, per costruirne la storia. Questa critica è avanzata da Pirandello, che avverte la trasformazione dell’interprete intorno al quale viene costruita la magia della celebrità, del divo, per poter colmare la perdita di aura. Benjamin afferma che quando il criterio di autenticità nella produzione dell’arte viene meno come in questo caso, vi è una trasformazione della sua funzione. Un esempio è costituito dal fascismo che, in quell’epoca attraverso documentari cinematografici, esalta le imprese di guerra, affinchè vi sia una divulgazione pubblica e visiva di episodi bellici, in cui spesso gli attori sono i soldati stessi. Il cinema è pensato per accontentare la massa, invece un quadro può essere compreso se osservato da poche persone alla volta: la natura che parla alla cinepresa è diversa dalla natura che parla all’occhio. Il film è molto più analizzabile di una pittura e permette un dialogo tra arte e scienza che prima non era possibile: questa è la dimostrazione che l’arte si evolve con i tempi ed è quando sembra esserci più decadenza che i risultati sono più interessanti. Le masse sempre più vaste hanno determinato un modo diverso di partecipazione. La perdita di aura non è negativa, è semplicemente una conseguenza dell’epoca in cui si vive. Se prima era lo spettatore a sprofondare dentro l’opera d’arte, adesso è l’opera d’arte che sprofonda dentro la massa degli spettatori. La forma che meglio riassume questo stato di cose è l’architettura: l’uomo guarda l’edificio e lo abita, percependo l’arte da un punto di vista più esteso, in uno stato di contemplazione ma al tempo stesso di abitante distratto. “Il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto”. L’immagine cinematografica non è fatta per essere contemplata dal singolo come un’opera d’arte; il cinema è fatto per le masse che hanno un atteggiamento critico ma allo stesso tempo distratto.

Gaia Immovilli 5 A (2015/16)


Per approfondire:

libro angelus

RISVOLTO
Tutta l’opera di Walter Benjamin è protetta dall’ala di un’immagine: quella di un acquarello di Klee, dal titolo Angelus Novus. E questa immagine, a sua volta, può essere intesa in tutti i suoi densi e sovrapposti significati soltanto se la si mette in rapporto con un breve, stupendo racconto in cui Benjamin svela qual è il suo «nome segreto»: Agesilaus Santander. Siamo qui, dunque, nel cuore del cuore di un’opera che, sempre più con gli anni, ci appare di una prodigiosa ricchezza di pensiero.
E nessuno poteva essere più adatto di Gershom Scholem a interpretare questa cifra nascosta di tutto Benjamin. Scholem, infatti, grande ebraista e autore di fondamentali studi sulla cabbala, fu l’amico più intimo e affine di Benjamin per molti anni. E, proprio per la sua conoscenza magistrale della mistica ebraica, egli poteva apprezzare l’inesauribile sottigliezza teologica applicata da Benjamin con audacia a ogni sorta di materiale ‘profano’, dalla letteratura, al marxismo, alla sua stessa persona. Esaminando puntigliosamente, frammento per frammento, questo «mito dell’angelo», da cui discendono gli aggrovigliati rapporti di Benjamin sia con la Storia sia con se stesso, Scholem ricostruisce una sorta di percorso occulto che si può intravedere nella vita di Walter Benjamin.
Il presente volume, oltre al saggio Walter Benjamin e il suo angelo (dove il lettore troverà, per la prima volta tradotto, il racconto Agesilaus Santander), contiene un profilo di Walter Benjamin scritto da Scholem nel venticinquesimo anniversario della morte del grande scrittore e amico, testo che ci offre una preziosa introduzione alla sua opera.

 


 

IL PESCATORE DI PERLE di Hannah Arendt