Hannah Arendt è stata una filosofa e scrittrice tedesca nota per la sua teoria della “condizione umana”.
Arendt ha scritto ampiamente sulla politica, la filosofia morale e la teoria della giustizia.

Una delle sue teorie più importanti è quella della “condizione umana” che descrive come l’essere umano è un essere che agisce e pensa, e che questa capacità di agire e pensare è ciò che distingue gli esseri umani dagli animali e dalle cose. Arendt sosteneva che l’azione è la fonte della libertà e dell’autonomia umana e che la politica è lo spazio in cui gli individui possono agire insieme per creare una comunità.

La sua teoria della “azione” ha anche sviluppato il concetto di “spazio pubblico” come luogo in cui gli individui possono esprimere le proprie opinioni e prendere decisioni collettive.

Di grande importanza politica e sociale lo scritto sulla “banalità del male”, un concetto che descrive come individui normali possono commettere atti terribili se vengono coinvolti in situazioni che li portano a perdere il senso della loro moralità personale.

In generale, le teorie di Arendt sono molto complesse e richiedono uno studio approfondito della filosofia e della storia per essere comprese appieno.

Hannah Arendt (1906-1975) è stata una filosofa ebrea tedesca naturalizzata statunitense, nota per le sue opere sulla teoria politica e la filosofia della storia. Nata a Linden, in Germania, Arendt ha studiato filosofia all’Università di Marburgo con Martin Heidegger, con cui ha avuto una relazione personale e intellettuale. Durante la seconda guerra mondiale è fuggita in Francia e poi negli Stati Uniti, dove ha continuato a scrivere e insegnare.

Le sue opere più famose includono “La condizione umana” (1958), in cui sviluppa la sua teoria dell’azione politica e delle “facoltà” umane, e “Eichmann a Gerusalemme” (1963), un’analisi critica del processo di Adolf Eichmann, un funzionario nazista accusato di crimini contro gli ebrei.

Arendt ha insegnato in numerose università americane, tra cui la Università di Chicago e la New School for Social Research. Ha scritto anche numerosi articoli e libri di critica letteraria, tra cui “Rahel Varnhagen: The Life of a Jewish Woman” (1957) e “Men in Dark Times” (1968). Morì di infarto nel 1975 all’età di 69 anni.

Prof.ssa Simona Forti Festiva della Filosofia di Modena 

VITA ACTIVA

Prof.ssa Simona Forti

Conferenza a cura di Simona Forti (Università del Piemonte orientale) nell’ambito del ciclo Classici della filosofia tedesca per Torino incontra Berlino Coordinamento scientifico di Pier Paolo Portinaro Con il sostegno di Fondazione per la cultura Torino.
Biblioteca civica “Italo Calvino”, 16/12/2015

“La Banalità del Male”  (scena tratta dal film di Margarethe von Trotta link )


Link all’articolo Per una teoria del giudizio morale


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È mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero, come ho scritto, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.
(Lettera a Gershom Scholem)


Hannah Arendt (Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975) è stata una filosofa, storica e scrittrice tedesca naturalizzata statunitense. La privazione dei diritti civili e le persecuzioni subìte in Germania a partire dal 1933 a causa delle sue origini ebraiche, unitamente alla sua breve carcerazione, contribuirono a far maturare in lei la decisione di emigrare. Il regime nazista le ritirò la cittadinanza nel 1937 e rimase quindi apolide fino al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense.

Lavorò come giornalista e docente di scuola superiore e pubblicò opere importanti di filosofia politica. Rifiutò sempre di essere categorizzata come filosofa, preferì che la sua opera fosse descritta come teoria politica invece che come filosofia politica.


Eichmann al processo in Israele riprese dal dibattimento


OLIVIA GUARALDO – Hannah Arendt : La banalità del male


FONTE
Consorzio Sistema Bibliotecario Nord Ovest Milano:

PRINCIPALI OPERE E RACCOLTE DI SAGGI DI HANNAH ARENDT
(titoli italiani, varie edizioni)

Il concetto d’amore in Agostino

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 Hannah Arendt mette qui in campo tutta la ricchezza e la complessità dell’opera di Agostino, pensatore in bilico tra due mondi, quello greco e quello cristiano, pensatore sommo e originale, impegnato in uno “sforzo tremendo”, di cui sono segno le linee interrotte del pensiero, credente per il quale non si trattò di “abbandonare le incertezze della filosofia a favore di una verità rivelata, ma di scoprire le implicazioni filosofiche della nuova fede.


Le origini del totalitarismo

Riconosciuto alla sua pubblicazione nel 1951 come la trattazione più completa del totalitarismo – e in seguito definito un classico – quest’opera continua da molti ad essere considerata il testo definitivo sulla storia dei regimi totalitari o – quantomeno – delle loro incarnazioni del XX secolo. Il libro inizia con una disamina delle cause dell’antisemitismo europeo nel XIX secolo, continuando poi con un esame dell’imperialismo coloniale europeo dal 1884 alla prima guerra mondiale. L’ultima parte tratta delle istituzioni e delle azioni dei movimenti totalitari, esaminando in maniera approfondita le due più pure forme di governo totalitario del XX secolo: quelle cioè realizzatesi nella Germania del nazismo e nella Russia di Stalin. L’autrice discute la trasformazione delle classi sociali in masse, il ruolo della propaganda nel mondo non totalitario (all’esterno della nazione come nella popolazione ancora non totalitarizzata) e l’uso del terrore, condizione necessaria a questa forma di governo. Nel capitolo conclusivo, la Arendt definisce l’alienazione e la riduzione dell’uomo a una macchina come requisiti necessari al dominio totale.
Per la Arendt il totalitarismo rappresenta da un lato il luogo di cristallizzazione delle contraddizioni dell’epoca moderna e dall’altro segna la comparsa in Occidente di un fenomeno radicalmente nuovo e impensato.
Le categorie tradizionali della politica, del diritto, dell’etica e della filosofia risultano inutilizzabili; quanto avviene nei regimi totalitari non si può descrivere nei termini di semplice oppressione, di tirannide, di illegalità, di immoralità o di nichilismo realizzato, ma richiede una spiegazione «innovativa».
Sarebbe quindi un errore ritenere che i regimi totalitari siano soltanto l’ultima figura della costruzione statale moderna. Lungi dal presentare una struttura monolitica, l’apparato istituzionale e legale totalitario deve rimanere estremamente duttile e mobile, al fine di permettere la piú assoluta discrezionalità. Per questo gli uffici vengono moltiplicati, le giurisdizioni tra loro sovrapposte e i centri di potere continuamente spostati. Soltanto il capo, e una cerchia ristrettissima di collaboratori, tiene nelle sue mani gli ingranaggi effettivi della macchina totalitaria.
Nelle Origini tale macchina viene smontata e analizzata pezzo per pezzo: i metodi propagandistici, le formule organizzative, l’apparato statale, la polizia segreta, il fattore ideologico e, infine, il campo di sterminio, istituzione suprema e caratteristica di ogni regime totalitario.


Il futuro alle spalle

L’obiettivo di Arendt è di sottrarre l’opera dei poeti al mestiere degli specialisti per restituirla al libero gioco della comprensione. Poesia e letteratura, infatti, riguardano tutti, aiutano a vivere, sono cose troppo serie per essere lasciate ai soli critici di professione. La maliziosa ironia di Heinrich Heine, la lotta esistenziale di Franz Kafka contro le idee della vecchia Europa si ricompongono lungo la corrente della “tradizione nascosta”, quella della coscienza ebraica, della esclusione che non rinnega la propria storia, in cui il futuro è precluso al passato. Vita Activa. La condizione umana : Le tre condizioni dell’esistenza, fondamentali per capire la “antropologia” di Arendt, corrispondono all’ambiente naturale degli individui, la Terra, e quindi l’attività del lavoro, rappresentata dall’ “animal laborans”; la seconda condizione è l’insieme di artefatti di cui l’uomo si circonda per vivere e operare nel mondo, cui corrisponde l’ “homo faber”; la terza condizione è lo spazio pubblico in cui gli individui interagiscono mediante il discorso, l’attività corrispondente è l’agire. Le tre attività compongono la “vita activa”.


Rahel Varnaghen

Scrivendo la biografia di Rahel Varnhagen (1771 – 1833), intellettuale ebrea protagonista dei salotti romantici, Madame de Stael berlinese, Arendt osserva: ” la realtà non può portare niente di nuovo, la riflessione ha già anticipato tutto “. In Arendt l’indomabile istinto intellettuale si univa ad una segreta, a volte ironica malinconia che non si rivelava. E a proposito di Rahel: ” Essere Schlemihl, sfortunata, quale Rahel si riteneva, non è mai schlimm mazzel, solo passiva malasorte “. Il sole non c’è solo per coloro che al sole voltano costantemente le spalle. E così nella signorina Rahel la battaglia contro i fatti, soprattutto contro il fatto di essere nata ebrea, diventa una battaglia contro se stessa. Tra passato e futuro : Arendt sottolinea che il tesoro della libertà dell’agire è impossibile da trasmettere in un mondo che non attribuisce senso all’agire in pubblico. E ciò è tanto più sconcertante quanti più individui si disposero alla lotta e all’agire per riappropriarsi di uno spazio pubblico che il nazismo e l’occupazione, e prima ancora la pseudo-democrazia repubblicana, avevano cancellato nella società francese. I saggi qui raccolti sono variazioni sul tema della frattura che si apre nell’esistenza e nella cultura quando l’essere umano non può aprirsi al mondo e quindi al presente. I vari tipi di crisi, dell’autorità, della libertà, dell’istruzione, persino del pensiero, sono riportati alla fondamentale lacuna dell’agire. Questa assume l’aspetto decisivo di una interruzione della tradizione.


La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme

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Un libro scomodo, perché pone domande che non avremmo mai voluto, e spesso non vogliamo ancor oggi, farci. Al suo comparire, questo libro provocò accesi dibattiti e pesanti critiche all’autrice che si era recata a Gerusalemme come giornalista al processo contro il nazista Adolf Eichmann, una delle “pedine” più solerti ed “efficienti” della “Soluzione finale”. Assistendo a quel discusso dibattimento, la Arendt scoprì la “terrificante normalità umana” del secolo delle Ideologie Organizzate. Il Male le appare banale e proprio per questo ancora più terribile: perché i suoi servitori, più o meno consapevoli non sono poi così diversi dal nostro vicino di casa. Sulla rivoluzione : In questa opera la Arendt, riflette sul successo della rivoluzione americana, manifestando al contempo la sua concezione della politica, con la chiara adesione ai princìpi che hanno ispirato la rivoluzione americana. “In una situazione internazionale che contrappone la minaccia di totale distruzione attraverso la guerra alla speranza di emancipazione di tutta l’umanità attraverso la rivoluzione, non resta altra causa se non la più antica di tutte, la causa della libertà contro la tirannide “.


La lingua materna : In questo saggio di Hannah Arendt, che è corredato da un’intervista concessa dall’autrice alla televisione tedesca nel 1964, vengono esaminate le questioni dell’esilio, dell’identità di un popolo e delle trasformazioni che nel corso dell’età contemporanea hanno sconvolto l’assetto dell’Europa e del mondo intero. La condizione umana è soggetta a continui mutamenti, spesso tragici, e l’unica possibilità inventiva, per l’autrice, consiste nella capacità di provare stupore, porre domande in un atto di solidarietà tra esseri umani.


Ebraismo e Modernità : Radicalità e solitudine è il binomio della meditazione cui Hannah Arendt ritorna costantemente in questi scritti che coprono l’arco di più di vent’anni fino al suo scambio epistolare con il grande storico della mistica ebraica Gershom Scholem che, a proposito del suo libro su Eichmann, la accusa di non amare il popolo ebraico. ” Io non amo gli ebrei ” gli risponde Arendt, ” sono semplicemente una di loro “.


La vita della mente : E’ l’ultimo libro della Arendt, rimasto incompiuto, l’ultima sua opera, il coronamento della sua “vita activa”. L’opera è divisa in tre parti (Pensare, Volere, Giudicare). Arendt si chiede nella prima parte dove si trovi l’io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo. Alla libertà è dedicata la seconda parte del volume, e cioè il problema del cristianesimo di come poter conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio.


Il pescatore di perle.

Walter Benjamin 1822-1940 – Hannah Arendt, Arnoldo Mondadori Editore, 1993

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Walter Benjamin : Arendt ci offre un ritratto tra i più intensi e significativi di Walter Benjamin, un intellettuale sui generis che secondo l’autrice riesce a rischiarare, a illuminare anche i periodi più oscuri che viviamo. Ciò che fin dall’inizio affascinò Benjamin non fu mai un’idea ma sempre un fenomeno, ” ciò che appare paradossale di ogni cosa che viene semplicemente definita bella è il fatto che appaia “.


Verità e politica.
La conquista dello spazio e la statura dell’uomo

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La menzogna va combattuta, oltre che per la sua immoralità, per il suo potenziale impatto distruttivo sullo spazio della politica. Dietro le imprese spaziali che proiettano l’uomo fuori della terra e dietro le ricerche scientifiche volte a creare la vita in provetta e a prolungare l’esistenza umana, l’autrice vede appunto profilarsi il desiderio di sfuggire alla mortalità e più in generale ai limiti inerenti alla condizione umana.


Che cos’è la politica?

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E’ una raccolta di frammenti scritti da Arendt intorno al tema della politica e all’idea di scrivere un’ “Introduzione alla politica”, cioè a quello che realmente è politica e ai presupposti fondamentali dell’esistenza umana con i quali il politico ha a che fare. I brani pubblicati forniscono indicazioni fondamentali sulla filosofia politica, sulla visione del mondo, sull’autonomia e originalità di Hannah Arendt. In un’epoca di miseria politica, Arendt ha ricercato le origini di una politica intesa come vita appagata e libera insieme agli altri dei quali si riconosce la diversità.


Ritorno in Germania

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Un saggio intenso e profondo raccoglie le impressioni, le esperienze e le conoscenze di un viaggio di ritorno nella Germania del 1949-1950. Questo testo commosso e puntuale è il tentativo di una donna sensibile di superare con la forza dell’intelligenza il dolore, l’amarezza personale e il risentimento nei confronti del proprio Paese dopo la tragica esperienza del nazionalsocialismo, della seconda guerra mondiale e della Shoah.


L’immagine dell’inferno

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I tre saggi compresi in questo libro costituiscono passaggi cruciali di quella riflessione sull’Olocausto che porterà Arendt alla stesura di “Le origini del totalitarismo”. Di fronte ad un evento che sfidava le capacità di comprensione, Arendt seppe formulare, per la prima volta, con un rigore ineguagliato, le domande che ancora oggi ci inquietano: come è potuto succedere? Quali meccanismi di disumanizzazione sono stati messi in atto per poter rendere “normale” lo stermino di massa? I campi di concentramento appaiono a Arendt come l’esito più estremo, ma anche più conseguente, del totalitarismo come forma inedita di governo, intesa a sperimentare la cancellazione della spontaneità e della pluralità umane e capace di creare nei sudditi un’obbedienza e una mentalità conformistica disposte ad accettare qualsiasi orrore. La disobbedienza civile e altri saggi : I temi sono quelli dell’obbligo politico e della partecipazione, visti nella loro connessione col problema della libertà. Sulla scia di un nuovo kantismo delineato dalla “Critica del Giudizio”, Arendt formula un’analisi dell’azione innovativa e sempre rivoluzionaria, nei termini del principio della libertà pubblica, dello spirito pubblico e della pubblica felicità.


L’angelo della storia

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Chi fu Walter Benjamin? A questa domanda poteva forse dare risposta solo Hannah Arendt. Lo aveva conosciuto e frequentato a Parigi, negli anni d’esilio dalla Germania nazionalsocialista, prima che ponesse fine alla sua vita in Spagna nella fuga verso gli Stati Uniti, diventando un simbolo del tragico destino dell’ebraismo tedesco nel Novecento. Quando pubblicò un celebre saggio sull’amico nel 1968 – qui per la prima volta tradotto dalla versione originale tedesca – molte pagine erano dedicate alla biografia non già per ricercare motivi all’origine del suo pensiero, bensì per risalire alle cause della sua fama postuma. Scritti su letteratura ed estetica venivano riletti alla luce della critica politica, scoprendo intenti maturati dal confronto col marxismo dietro agli aspetti filosofici e religiosi rilevati fino ad allora dagli interpreti. Un’accusa che all’epoca si trasformò in polemica sullo sfondo dell’antagonismo tra capitalismo e comunismo, che richiedeva nuove soluzioni al problema della libertà dell’uomo d’imprimere un senso alla sua storia di catastrofi e non di progresso tra politica e teologia. Quel saggio dal lapidario titolo “Walter Benjamin” contribuì come nessun altro alla fortuna di un pensiero che accoglieva impulsi dalla metafisica per affrontare questioni della politica, come abbozzato nella serie di tesi “Sul concetto di storia”, tradotte qui dal manoscritto originale affidato all’amica e presto riconosciute come suo testamento spirituale. Oltre alle loro lettere (1936-1940) sono raccolti in questo volume anche i principali documenti sulle discussioni che si accompagnarono alla riscoperta di un autore che continua a rivelarsi nella sua inattualità perché guardò oltre ogni attualità.


socrate

marx