MARC AUGE’: “I NON-LUOGHI VENT’ANNI DOPO”

All’interno della conferenza nel video proposta, Marc Augé ritorna a parlare di una distinzione che egli stesso aveva formulato più di vent’anni prima, dunque quella tra luoghi e non-luoghi

Inizialmente si trattava di una distinzione classica dell’etnologia, tra spazi nei quali è possibile leggere l’organizzazione sociale dei gruppi umani, i cosiddetti luoghi, e spazi di circolazione, di consumo o di comunicazione che sono caratteristici del nostro tempo, i cosiddetti non-luoghi; il non-luogo, in particolare, si identificava con quegli spazi caratteristici della cosiddetta “surmodernità”, intesa come l’accelerazione dei processi posti in atto dalla comparsa della modernità; questa surmodernità si caratterizzava dunque dalla individualizzazione dei riferimenti e da una sovrabbondanza degli eventi e degli spazi. 

I supermercati, gli aeroporti, le immagini televisive… si potevano di conseguenza, secondo la sua ipotesi di allora, definire come non-luoghi nella misura in cui, in questi spazi, era impossibile leggere i costituenti stabili dell’organizzazione di una società.

A questa contrapposizione tra luoghi e non-luoghi, tuttavia, l’antropologo ha ora modo di apportare qualche sfumatura. Non esistono luoghi o non-luoghi nel senso assoluto del termine. Inoltre, è fondamentale sgombrare il terreno dal giudizio di valore che indurrebbe a guardare al luogo come al “bene” e al non-luogo come al “male”; di fatto, il luogo può essere anche la sede del rifiuto dell’altro da sé, mentre il non-luogo può essere certamente uno spazio di incontro.

Per Augé, è fondamentale insistere sul cambio di scala che stiamo vivendo nel nostro tempo: il passaggio alla scala planetaria, che si deve in particolar modo allo sviluppo enorme delle tecniche di comunicazione, ed il quale reca con sé due conseguenze: da un lato la comparsa di spazi in cui le relazioni sociali non si possono leggere in modo immediato (spazi di consumo e di transito), e dall’altro lato il generalizzarsi di un contesto globale che condiziona tutti i possibili sforzi di localizzazione, con un notevole incremento del bisogno di un consumo. Tuttavia, per Augé, noi abbiamo bisogno di luoghi, poiché come esseri umani abbiamo bisogno della relazione e del legame con gli altri.

Partendo dalle conseguenze apportate dal cambiamento sociale appena descritto, saremmo tentati a distinguere due forme di solitudine: la solitudine di tipo tradizionale, che è ambivalente, in quanto può essere cercata, nel momento in cui si ricerca la tranquillità, oppure temuta, percepita come crudele in quando imposta dall’isolamento e dal rifiuto da parte degli altri, e la piuttosto solitudine legata alla pratica sistematica del social network, che rischiano di condannarci all’alienazione e alla nevrosi. 

Questo concetto di rete sociale riassume in sé tutte le contraddizioni dell’attuale situazione: l’uomo è un animale simbolico, e ha bisogno di relazioni iscritte nello spazio e nel tempo. Ha bisogno cioè di luoghi in cui la sua identità si costruisca nel contatto con l’altro; è ciò il motivo per cui l’ideale di istantaneità, proprio dei mezzi di comunicazione odierni, è contrario all’apprendimento del rapporto tra individui. Ci troviamo davanti a quello che si può chiamare come la “spersonalizzazione” delle relazioni sociali.

Quotidianamente, noi creiamo degli “abbozzi di luoghi”, benché possano essere effimeri o superficiali: nelle campagne francesi, Marc Augé racconta ad esempio che molti giovani hanno come luogo di incontro i punti vendita della grande distribuzione. 

E in questo senso è impossibile fare elenchi di luoghi o non-luoghi assoluti: tutto può, di fatto, essere fatto un luogo, nonché anche sede nella quale costruire nuovi legami: è questo ciò che Foucault chiamava “eterotopie”, dunque quelle forme di utopie, magari provvisorie, ma realizzate ad un certo punto.

Quello che dunque oggi Marc Augé, a seguito delle nuove riflessioni, chiamerebbe come non-luogo è il contesto di ogni possibile luogo, significato per giunta sottinteso del termine globalizzazione (il passaggio alla scala planetaria). 

A tale proposito, fondamentale è la sfida contro cui tenta di misurarsi, oggi, l’architettura: si riflette su come sia possibile creare una casa propria, all’interno della quale lo spazio chiuso possa essere al tempo stesso aperto verso l’esterno, così da creare una comunanza di luoghi. Gli architetti si sono da sempre occupati della problematica del contesto, ma questa oggi assume una posizione nuova. A partire dal momento in cui ogni contesto diventa planetario, assistiamo di fatto alla fine della società preistorica in quanto, ora, società di terrestri. I massimi esponenti dell’architettura moderna tentano sempre più, dunque, di dare ai luoghi significativi del pianeta un colore non più locale, ma globale: così firmano le loro opere, malgrado il luogo in cui si trovino. 

Ma si trova anche qui una contraddizione crudele: sappiamo che la demografia è aumentata in maniera considerevole, e pur disponendo tutti gli strumenti idonei a darci un’idea dell’unità del mondo, il divario tra i più ricchi e i più poveri non cessa di crescere. Così si verifica anche nell’ambito culturale, e il risultato sono le forme di violenza di ogni sorta che sorgono in tutti gli angoli del nostro pianeta.

Francis Fukuyama aveva parlato di “fine della storia”: intendeva, con ciò, che esisteva una convivenza armoniosa e definitiva fra il mercato liberista e la democrazia rappresentativa; pensava dunque ad una convergenza generale su una modalità ideale di costituzione dell’umanità. Ma non è difficile constatare che il mercato liberista non reca con sé, automaticamente, l’espansione della democrazia; e che anche i regimi dittatoriali convivono con tranquillità con il mercato cosiddetto liberista. 

Per questo, Marc Augé dichiara che non stiamo vivendo la fine della storia, intesa come l’accordo su una formula definitiva, ma piuttosto la fine della preistoriadella società umana, intesa come società planetaria. Si potrebbero prendere a simbolo di questo cambiamento di scala i progetti di turismo spaziale, che sono ormai ad un grado di sviluppo piuttosto avanzato. Di fronte a questo, l’antropologo si domanda se, agli occhi dei turisti, che scopriranno il pianeta Terra senza schermi intermedi, il mondo apparirà loro come un luogo o un non-luogo.

Oggigiorno, ciascun tentativo di “fare luogo” si colloca necessariamente nel contesto fino ad ora descritto. E, di conseguenza, uno degli aspetti della nuova crisi si deve proprio alla tensione tra la necessità del luogo e l’evidenza della nuova contestualizzazione.

Sarà ancora arduo il cammino per passare dai luoghi di ieri a questi “luoghi planetari”; ed ecco perché, secondo Marc Augé, lungi dal parlare di fine della storia, al contrario, bisogna considerare che ora la storia comincia

LARA CANTARELLI 3Q a.s. 2022/23