Presentazione del 29 Novembre 2017
ore 18.00 Sala delle colonne
LICEO ARTISTICO GAETANO CHIERICI

Relazione della presentazione
prof.ssa Mariarosaria Pranzitelli

“L’essere come ritmo dei corpi – i corpi come ritmo dell’essere. Il pensiero-in-corpo è ritmico, è spaziamento, battuta che dà il tempo della danza, il passo del mondo.”
J.L. Nancy, Corpus, Cronopio, Napoli 1995, pag. 94

ITINERARIO FILOSOFICO

Wittgenstein ha toccato i limiti del logos, i confini ultimi della logica dell’essere, affermando: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”.
Molte riflessioni ha aperto questa proposizione di Wittgenstein e sicuramente darà ancora molto da pensare. Sempre Wittgenstein dice: “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”.
Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere, ma questo può metterci in ascolto  di altri mondi, prospettive e contesti. Là dove la parola fatica ad esprimere un’idea è perché non ha ancora trovato la sua esattezza, ma solo il suo limite.
Attraverso la danza, il progetto Indizi sul corpo ha  tentato di creare l’occasione per i nostri studenti di incontrare altre forme espressive e altri percorsi interdisciplinari che mettono al centro il corpo.
Il corpo è il limite e la possibilità dell’ apprendere. Ma di quale corpo o di quali corpi parliamo? Certamente non di un corpo che è “sapere del corpo”, non un corpo categoriale e sostanziale, non un corpo astratto, non una corporeità generica e rinviante a simboli e significati. Parliamo dell’essere un corpo. Parliamo dell’essere esposto di un corpo e di ogni corpo agli altri corpi.
Nancy ripensa il corpo decostruendo le categorie della metafisica dei corpi, del dualismo cartesiano (*) e della spiritualità dei corpi come corpi astratti o sostanziali.
Per questo anche un altro filosofo come Deleuze ritiene che “c’è un eccesso di sapere che uccide la vita nella filosofia, e aggiunge, che la comprensione non filosofica non si deve considerare insufficiente o provvisoria, è una delle due metà, una dei due ausili. “ Per  Deleuze la ricerca di questi nuovi mezzi di espressione filosofica deve essere perseguita in rapporto con altre arti come il teatro o il cinema” e aggiungo io con la danza.

In effetti c’è un eccesso di sapere che uccide l’apprendimento. Un apprendimento che si rivolge ad una mente e non ad un corpo che apprende. Questo modello di apprendimento è destinato a fallire. Molti dei nostri studenti fanno esperienza di un apprendimento mnemonico, settoriale, ripetitivo e molte volte senza senso. Quel senso che Nancy mette sempre in rapporto al corpo e ai corpi. Al loro esserci, al loro movimento esistenziale ed emotivo. Modale.
Come apprende un corpo? Questa è la domanda alla quale occorre dare una o più risposte. Occorre indagare e modificare tutto ciò che rende impossibile trasmettere il senso dell’apprendere come fonte di piacere e di passione.
Un corpo è passione ed è attraversato da “tonalità emotive”. La “precomprensione” come tonalità emotiva affermava Heidegger. Da questo occorre ripensare l’apprendimento.
Durante le lezioni di danza i nostri studenti hanno osservato e realizzato schizzi dei corpi dei danzatori e delle danzatrici in movimento.
Il movimento di un corpo, il movimento di un pensiero e di un gesto, quali e quante possibili relazioni attivano.

Gli studi e le nuove scoperte neuroscientifiche, vedi neuroni specchio in particolare, permettono molte riflessioni sull’apprendimento e sulle metodologie didattiche da mettere in campo a partire  dalla centralità del corpo. Pensate solo all’importanza dell’imitazione e della ripetizione che viene vissuta in modo empatico e da non confondere con la simpatia. (empatia: vedi lezione di Vittorio Gallese dello scorso anno al Festival della filosofia di Modena).
Così potremmo sostenere con Wittgenstein che “Ogni esperienza è mondo e non ha bisogno del soggetto” (Quaderni, p.192)
Anche per la danza ciò che caratterizza la performance è un movimento che manifesta ed espone uno stile e così accade anche per la filosofia, infatti Deleuze sostiene che “I grandi filosofi sono anche dei grandi stilisti. Lo stile in filosofia è il movimento del concetto.”
Deleuze,  Segni ed eventi, p. 16

Ritroviamo qualcosa di simile anche nelle parole di un grande danzatore:
“Ogni giorno noi perdiamo dei gesti: ogni giorno noi ne ritroviamo e ne ricreiamo.”
Dominique Dupuy, La saggezza del danzatore, p. 83

La danza, i laboratori, gli spettacoli e le prove aperte, sono state l’occasione per i nostri studenti di incontrare altri corpi nell’esercizio dell’apprendere un gesto un movimento, nel ripetere e nell’attraversare una coreografia, un balzo, una caduta.  L’incontro di altri corpi nei quali “riflettersi”, osservarsi e apprendere come un corpo che danza. Tutto questo, quali e quante suggestioni apre?

Imparare ad imparare è attivato quando il contesto muta e si vede un altro “luogo e altri corpi” che apprendono un gesto, una postura e un movimento.
Cosa in particolare apprendono i nostri studenti osservando danzare: Il gesto inutile, cioè non strumentale, non votato ad un risultato. Nella danza è sempre in atto una sospensione dell’utilità del gesto. Un movimento che si fa gesto e si fa dono nella sua esposizione.

Nello spettacolo o nella performance si afferma il qui ed ora di quei corpi, si aprono alla possibilità dell’evento. Tutto avviene perchè quell’evento riesca a stabilire un con-tatto tra spettatore e attore, un con-tatto di stupore, di senso, di piacere, di immaginazione.
C’è molto in uno spettacolo di danza contemporanea, scenografie, quadri musiche…neuroni specchio, studi di percezione, ma non le parole che spiegano, che definiscono, che incasellano il senso in significati uguali per tutti.
La chiave per aprire un senso resta nella performance stessa, resta nei pensieri e nei corpi di chi è spettatore e si espone a sua volta alla possibilità di essere toccato da quell’evento. Il senso, se di senso si tratta, non può che accadere.
Il senso è l’evento stesso. Il qui ed ora del suo sorgere, della sua venuta.

La nostra domanda è stata quella di Nancy: “come giungere a toccare il corpo invece di significarlo o farlo significare” ?

In qualche modo risponde a questa domanda Federico Ferrari: “Pensa alla danza, al modo in cui i danzatori seguono con lo sguardo e con il corpo i gesti del coreografo, fino ad immedesimarsi in essi, fino a sentirli come parte del proprio corpo: ripetendo e imparando a danzare, impariamo un’attitudine. Il gesto delll’arte è l’approssimarsi tangenziale a questa attitudine.
Dunque, disciplinare il tocco, la mano, la vista per arrivare a toccare l’infinita libertà di un gesto che non vuole più significare nulla, ma soltanto essere, fissato ma sempre in potenza nell’opera.”
Federico Ferrari, Sub specie aeternitatis, Arte ed etica, 2008, ed. Diabasis, p.30

“La ripetizione del gesto, per generare dell’irripetibile, deve in qualche modo perdersi – rasentando, talvolta, abissi di di oscurità – per infine ritrovarsi. In questa erranza del gesto l’opera appare e l’arte si compie, mostrando che dell’irripetibile è ancora possibile. Ma appunto l’irripetibile si mostra attraverso la ripetizione. Bisogna aver fatto esperienza della ripetizione per cogliere l’irripetibile. Bisogna aver fatto esperienza del gesto per arrivare allo scarto dell’opera.”
Federico Ferrari, Sub specie aeternitatis, Arte ed etica, 2008, ed. Diabasis, p.35

Attraverso la danza si sperimenta una reale capacità di andare oltre il dualismo corpo e mente e ritrovare quell’armonia che libera dalle costrizioni della corrispondenza. Forse è questo che fa scrivere ad un danzatore come Dupuy: “Non danziamo mai così bene come quando siamo un po’ affaticati; Le nostre risorse attenuate, occorre suscitarne altre, la sensibilitàprofonda entra in gioco.”Dominique Dupuy, La saggezza del danzatore p.43
Non è stato un caso che di recente un coreografo ed un filosofo abbiano dato vita ad una conversazione sulla danza e che entrambi sostengano che la propria esperienza passa anche per quella dell’altro.
Dalla danza al pensiero, una stessa e diversa messa in gioco del corpo, questo luogo dove sorge e sfugge il senso. (Mathilde Monnier – Jean Luc Nancy- Allitterazioni –Conversazioni sulla danza)

CONCLUSIONE

La danza è stata per noi uno degli indizi maggiori del corpo, l’indizio più convincente e consistente del fatto che noi “siamo” anche un corpo, cioè che non “abbiamo” solo un corpo, così come la tradizione maggiore del pensiero occidentale non soltanto ci lascia intendere, ma ci spinge e costringe a pensare.
La danza è una delle tante “ri-velazioni” del corpo e, come in ogni ri-velazione, possiamo e dobbiamo avvertire nel suo movimento che qualcosa è messo a nudo e contemporaneamente velato di nuovo. Il velo che viene tolto al corpo è anche, paradossalmente, quello che nuovamente lo nasconde.
Ciò dipende dal fatto che “noi non sappiamo che cosa può un corpo” (Spinoza) e non lo possiamo sapere perché la sua singolarità plurale resiste e insiste in maniera sorprendente proprio nel gesto della danza. Non lo possiamo sapere nemmeno perché è proprio del sapere pensare al di là della singolarità che un corpo non può fare a meno di esporre. Ma è solo scartando la singolarità che un sapere può divenire tale.
Forse, per questo, il corpo può riguardare solo un non-sapere come la filosofia.
Proprio il corpo costringe la filosofia a quel che è: un non-sapere. Pensare il corpo è un esercizio filosofico quasi indispensabile perché la vita non venga esclusa o aggirata dalla filosofia.
E’ per questo che il pensiero quando pensa il corpo non si rivolge solo all’anatomia, ma anche alla letteratura, alla poesia e ovviamente alla danza. Ecco, la danza es-pone forse meglio ciò che, per dirla con Nancy, ogni pensiero è: un corpo.

“Non ha senso, pertanto, parlare separatamente di corpo e di pensiero, come se potessero sussistere ciascuno per sè, mentre essi non sono che il loro toccarsi reciproco, il contatto della loro effrazione l’uno attraverso l’altro e l’uno nell’altro. Questo contatto è il limite, lo spaziamento dell’esistenza. Tuttavia ha un nome, si chiama “gioia” e “dolore”, o “pena”.”  

Potrebbe apparire singolare questa esigenza della filosofia di ri-velare il corpo in un tempo come quello attuale in cui la sua dimensione spettacolare non smette di esibire corpi, come, forse, non era mai successo prima.
E, tuttavia, i corpi, proprio per questo, vivono in una dimensione separata e ciò si evidenzia anche e specialmente nella questione degli apprendimenti, che si danno in maniera totalmente svincolati dal corpo.
Il paradosso è che la mente nei meta-apprendimenti è spinta a connettere tutto tranne il corpo da cui proviene.
La società della conoscenza insegna proprio ad apprendere senza un corpo. Il dualismo metafisico che attraversa la cultura occidentale non viene smentito nella società della conoscenza, anzi viene portato alle sue estreme conseguenze.
E’ attraverso le competenze che sono richieste nei percorsi scolastici che si rischia di annullare, nell’enfasi posta nella ricerca della prestazione, ogni forma di desiderio. Ora, mi è sembrato, invece, che proprio nella danza la ricerca della prestazione, la stessa performance del danzatore, che è sempre implicata nel suo gesto, non fosse mai slegata anche dalla ricerca dell’espressione. Ecco, separare prestazione ed espressione negli apprendimenti rischia di azzerare nella vita in quanto tale la dimensione desiderante e quindi corporea dell’esserci.
Per evitare di ridurre i nostri studenti a meri viventi che dispongono solo di funzioni cognitive da sviluppare, vorrei concludere con una frase di Aristotele tratta dall’Etica Nicomachea e che potrebbe costituire una traccia da seguire o da tenere a mente anche nei percorsi di insegnamento/apprendimento: “un desiderio che pensa, un pensiero che desidera, questo è un uomo”.

1 – Link alla documentazione

2 – link alla pagina di documentazione: laboratorio di fotografia (in progress)