Nella danza non vi sono che gesti
L’opera d’arte produce un segno che va al di là di sé stessa.
J.L.N. Del contemporaneo
Lo stupore è, di fondo, la virtù filosofica.
Lo stupore è la messa a nudo del senso.
J. L. N. – L’oblio della filosofia
Scrivere la danza, scrivere la filosofia.
di Mariarosaria Pranzitelli
Leggendo le opere di Jean Luc Nancy non si può che intrecciare danza e pensiero, basterebbe citare un’affermazione del filosofo per confermarne il profondo legame: “Senza alcun imbroglio, e senza alcuna leggerezza, posso dire che quando penso, danzo.” (1)
Pensare è danzare, oscillare, andare da un punto all’altro, ritornare, andare verso, fermarsi, così specularmente ogni azione rispecchia una parola una forma narrativa, uno slancio o un’idea.
Nancy attraverso autori che hanno determinato la storia del pensiero filosofico, ripensa lo spazio e il corpo, la sensibilità e con Kant ci fa ripensare le grandi categorie metafisiche con una materialità inedita e convincente: “Non l’ho fatto apposta, ma è così: ecco che mi trovo già in prossimità della danza.
Poiché questo vacillare del senso apre direttamente su che cos’è dunque la terra sulla
quale cammino e mi appoggio? È il corpo celeste che conosce l’astronomia e la cosmologia? Cosa faccio camminando? Vado verso un orizzonte che mi fermerà e mi riporterà al punto di partenza? O faccio altre cose, qualcosa di estraneo a questo movimento, qualcosa che si rapporta diversamente alla terra?” (2)
Direi allora, per fare una sorta di coreografia kantiana, che l’assolo è la generazione dello spazio-tempo di un soggetto, cioè a dire, la generazione dello spaziamento, dello spazio e, ben inteso, del tempo…La composizione e la disposizione – la distensione – di uno spazio-tempo del mondo.
Indizi sul corpo, solo indizi, segnali, posture e gesti. Se parliamo di un corpo, dei corpi non siamo semplicemente in una parola che dice il corpo, siamo in un movimento, in un distanziarsi dal corpo con il corpo della parola e del suo peso.
Non si può più pensare, dopo Nancy, il pensare astratto e descrittivo, la sua funzione didascalica è completamente implosa. Con il peso di un pensiero il corpo ha tutta un’altra tensione con la parola e con il gesto. Per questo l’esattezza si fa nel gesto e non nel corrispondere ad un concetto o ad un’immagine. L’immagine e il concetto, quando si creano, sono spaziamento, sono un altro respiro e un altro ritmo dell’esserci. Si declina una poetica e una dinamica, un’estetica che apre ad
un’altra cornice che genera un’altra cornice. Di questo e solo per questo la filosofia continua il suo compito di resistenza e di invenzione della parola che rende la sua stessa forma una continua assunzione di punto di appoggio per un altrove. La parola annuncia qualcosa se annuncia la sua stessa corporeità e il suo peso. Di questa forma non è la parola a deciderne il contorno ma il suo accadere il suo spazializzare i luoghi e gli incontri. Per questo vedo nei corpi di chi danza la fatica
della parola che si fa forma. C’è pensiero nella danza senza parola, di questo il filosofo è grato. Proprio là dove non si sono ancora trovate le parole esatte, la corporeità può diventare annuncio, spostare, grazie alle vibrazioni e al ritmo, ai colori e ai suoni un modo per creare immagini inedite, associazioni inaspettate che il corpo dello spettatore può esperire e far diventare un inizio di movimento altro.
1 Mathilde Monnier Jean-Luc Nancy, allitterazione, Conversazioni sulla danza, Galilée, 2005
2 ibd.